Nel panorama dei diritti legati alla genitorialità, la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) continua a rappresentare uno dei temi più discussi e in evoluzione. Tra le questioni più attuali c’è l’accesso alla PMA per donne single, una possibilità già prevista in diversi Paesi europei ma ancora vietata in Italia.
La recente udienza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi su questo tema, ha riacceso il dibattito, sollevando interrogativi su diritti, uguaglianza e autodeterminazione.
Un cambiamento culturale in corso
Le richieste di accesso alla PMA da parte di donne single sono in aumento, non solo per motivi biologici ma anche per scelta personale. Sempre più spesso, si tratta di donne che hanno maturato il desiderio di diventare madri indipendentemente dalla presenza di un partner stabile, e che vedono nella medicina riproduttiva un’opportunità concreta.
Questa evoluzione pone nuove domande alla società e alle istituzioni: chi può accedere alla genitorialità? È legittimo porre limiti sulla base dello stato civile? La legge può e deve aggiornarsi in base ai cambiamenti sociali?
Domande complesse, che richiedono risposte ponderate e rispettose di tutte le sensibilità in campo.
Il nodo della Legge 40
In Italia, la legge che regola la procreazione assistita è la n. 40 del 2004. Secondo il suo impianto, possono accedere alla PMA solo coppie eterosessuali, maggiorenni, conviventi o sposate, in età potenzialmente fertile, e con problemi documentati di infertilità o sterilità.
Questa impostazione esclude in modo esplicito le donne single, che non rientrano nei criteri stabiliti dalla normativa. Tuttavia, la società è cambiata, e con essa anche i modelli familiari e i percorsi personali che conducono alla genitorialità.
A marzo 2025, la Corte Costituzionale ha esaminato il ricorso presentato da una donna single, che ha chiesto di poter accedere alla PMA in Italia. La Corte ha avviato un’istruttoria per approfondire se l’attuale normativa rispetti i principi fondamentali della Costituzione, tra cui il diritto all’uguaglianza e alla libertà di autodeterminazione. La decisione finale è attesa nei prossimi mesi.
Un’Europa a più velocità
La situazione italiana si inserisce in un quadro europeo molto variegato. In alcuni Paesi dell’Unione, l’accesso alla PMA è consentito anche alle donne non sposate o non in coppia. È il caso, ad esempio, di Spagna, Belgio, Portogallo e Danimarca, dove l’approccio è più inclusivo e si basa sul diritto della persona a costruire un progetto genitoriale individuale.
Anche la Francia, con una riforma approvata nel 2021, ha esteso l’accesso alla PMA alle donne single e alle coppie omosessuali femminili, rendendo il trattamento disponibile anche nel sistema sanitario pubblico.
Al contrario, in Paesi come Germania e Italia, l’accesso rimane limitato alle coppie eterosessuali, sulla base di una normativa che lega la procreazione assistita a un contesto di coppia stabile.
Questa disparità tra i vari Stati membri riflette le diverse sensibilità culturali e le differenti scelte politiche in materia di famiglia, genitorialità e diritti riproduttivi.
In attesa della Corte
La decisione della Corte Costituzionale non modificherà direttamente la legge, ma potrebbe aprire la strada a una revisione del quadro normativo. Un eventuale riconoscimento del diritto delle donne single ad accedere alla PMA costituirebbe una svolta importante per l’Italia, allineandola ad altri modelli europei più inclusivi.
Nel frattempo, molte donne che desiderano intraprendere questo percorso scelgono di rivolgersi a cliniche all’estero, dove le normative lo consentono. Altre attendono che qualcosa cambi anche nel proprio Paese.
Qualunque sarà l’esito, è evidente che il tema ha ormai superato i confini della medicina per diventare una questione sociale e culturale a tutti gli effetti. E che sempre più persone, anche in Italia, chiedono che venga affrontato con realismo, apertura e rispetto.
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